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Vertice in Alaska

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Vertice in Alaska

Speciale vertice in Alaska

Analisi di un dialogo a metà tra Trump e Putin sull’Ucraina

Il 15 agosto 2025, il vertice tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il presidente russo, Vladimir Putin, tenutosi in una base militare ad Anchorage, Alaska, ha rappresentato un evento di straordinaria rilevanza geopolitica. Questo incontro, il primo faccia a faccia tra i due leader dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, ha catalizzato l’attenzione globale, configurandosi come un potenziale punto di svolta in uno dei conflitti più sanguinosi in Europa degli ultimi ottant’anni. Sotto lo slogan ufficiale di “perseguire la pace”, il summit si proponeva di esplorare una via d’uscita diplomatica alla guerra, riaprendo un canale di dialogo diretto tra Washington e Mosca dopo un lungo periodo di gelo.
La scelta della location non è stata casuale: l’Alaska, ex territorio russo ceduto agli Stati Uniti, simboleggia la complessa e stratificata storia dei rapporti bilaterali tra le due potenze. In questo scenario carico di aspettative contrastanti e profonde divergenze strategiche, i due leader si sono confrontati non solo sulle dinamiche militari in corso, ma anche su questioni di più ampio respiro, quali il futuro ruolo dell’Europa, l’efficacia delle sanzioni economiche, la sicurezza nucleare e la crescente influenza globale della Cina. Il vertice, prolungatosi più del previsto, è diventato così il riflesso delle tensioni irrisolte e delle difficoltà di mediazione, ma anche di una rinnovata, seppur cauta, volontà diplomatica.
Tuttavia, l’incontro si è svolto con l’Ucraina e i suoi alleati europei relegati al ruolo di spettatori preoccupati, alimentando timori per accordi presi a loro discapito. Attraverso l’analisi scientifica delle premesse del conflitto, delle aspettative che hanno preceduto l’incontro, degli sviluppi durante il vertice, delle sue conseguenze geopolitiche e delle prospettive future, si può quindi delineare un quadro esaustivo di questa complessa e delicata fase storica.

Premesse strategiche. I perché della guerra
Le premesse strategiche del conflitto in Ucraina sono profondamente radicate nella competizione geopolitica post-sovietica. Da un lato, Mosca ha costantemente percepito l’allargamento della NATO verso est come una minaccia esistenziale alla propria sicurezza nazionale. Dall’altro, l’Occidente ha interpretato l’invasione russa come un’aggressione illegittima volta a smantellare l’ordine internazionale e la sovranità di Kiev. È in questo scenario di stallo e profonda diffidenza che l’annuncio del summit di Anchorage ha generato un’ondata di speculazioni e aspettative contrastanti, polarizzando la scena internazionale.
Da una parte, Donald Trump, fedele alla sua promessa elettorale di porre fine alla guerra in tempi rapidi, si era posto l’obiettivo primario di ottenere un cessate il fuoco, arrivando a minacciare “gravi conseguenze” in caso di fallimento. La Casa Bianca, pur cercando di moderare le attese, non nascondeva la speranza di avviare un processo negoziale diretto. Dall’altra parte, per Vladimir Putin, il semplice fatto di incontrare il presidente americano su suolo statunitense rappresentava di per sé una vittoria diplomatica. L’incontro offriva al Cremlino l’opportunità di rompere l’isolamento internazionale, consolidare le conquiste territoriali e tentare di creare una frattura tra gli Stati Uniti e i suoi alleati europei.
In questo quadro, l’Ucraina e l’Europa, escluse dai colloqui diretti, osservavano con forte apprensione. Il presidente Zelensky aveva ribadito che nessun negoziato sarebbe stato legittimo senza la partecipazione di Kiev, mentre i leader europei avevano espresso il timore che un accordo bilaterale tra Washington e Mosca potesse avvenire a spese della sovranità ucraina e della sicurezza continentale. La preoccupazione diffusa era che il destino dell’Europa potesse essere deciso senza la sua voce.

Aspettative prima del meeting
L’annuncio del summit di Anchorage ha generato un’ondata di speculazioni e aspettative contrastanti. Donald Trump, fedele alla sua promessa elettorale di porre fine alla guerra in tempi rapidi, si era posto l’obiettivo primario di ottenere un cessate il fuoco, arrivando a minacciare “gravi conseguenze” in caso di fallimento.
La Casa Bianca, pur cercando di moderare le attese definendo l’incontro un “esercizio di ascolto”, non nascondeva la speranza di avviare un processo negoziale. Trump stesso aveva ipotizzato la possibilità di un secondo incontro, questa volta trilaterale, con la partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, suggerendo che si sarebbe potuto discutere anche di “scambi di territori”.
Dal lato russo, le aspettative erano diverse. Per Vladimir Putin, il semplice fatto di incontrare il presidente americano su suolo statunitense rappresentava una vittoria diplomatica significativa. L’incontro offriva al Cremlino l’opportunità di rompere l’isolamento internazionale, consolidare le conquiste territoriali e ridurre la pressione delle sanzioni. Alcuni analisti ritenevano che Putin avrebbe utilizzato il vertice per guadagnare tempo, rallentare ulteriori aiuti militari all’Ucraina e tentare di creare una frattura tra gli Stati Uniti e i suoi alleati europei.
L’Ucraina e l’Europa, escluse dai colloqui, osservavano con apprensione. Zelensky aveva ribadito che qualsiasi negoziato doveva avvenire con la partecipazione di Kiev e che il primo passo imprescindibile era un cessate il fuoco reale. I leader europei, in una conversazione con Trump, avevano sottolineato cinque punti chiave, tra cui il rifiuto di riconoscere i territori occupati e la necessità di una strategia transatlantica unitaria. La preoccupazione diffusa era che un accordo bilaterale tra Trump e Putin potesse avvenire a spese della sovranità ucraina e della sicurezza europea.

Cosa è accaduto durante il meeting
Il vertice del 15 agosto 2025, svoltosi presso la Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage, ha messo in scena la complessità e la rigidità delle posizioni di Stati Uniti e Russia. L’incontro, durato quasi tre ore in un formato ristretto, è stato attentamente coreografato per proiettare un’immagine di dialogo costruttivo, ma si è concluso senza un accordo formale per un cessate il fuoco o per porre fine alla guerra.
Durante i colloqui, Trump e Putin hanno affrontato temi centrali come il futuro status della Crimea, un possibile cessate il fuoco monitorato e la revisione delle sanzioni economiche. Tuttavia, le differenze concrete sono rimaste evidenti: per Putin, è imperativo che l’Ucraina riconosca i “fatti sul terreno”, mentre Trump ha insistito sulla necessità di un confronto più ampio che includa Kiev e gli alleati europei.
La conferenza stampa finale, tenuta senza domande dei giornalisti, ha riflesso questa ambiguità. Entrambi i leader hanno descritto i colloqui come “produttivi”, con Putin che ha parlato di “un’atmosfera di rispetto reciproco” e ha ammonito l’Europa a non ostacolare i “progressi nascenti”. Trump, da parte sua, ha dichiarato di aver fatto “grandi progressi”, pur ammettendo l’esistenza di un “ostacolo molto significativo” con la frase emblematica: “Non ci siamo ancora arrivati”.
Nonostante la mancanza di compromessi sostanziali, entrambi i leader hanno lasciato la porta aperta a un futuro dialogo, con Putin che ha suggerito un prossimo incontro a Mosca. Trump ha concluso affermando di voler parlare immediatamente con la NATO e con Zelensky, sostenendo che ora spetta a quest’ultimo “fare un accordo”, lasciando così la diplomazia aperta ma spostando la pressione sull’Ucraina.

Conseguenze geopolitiche
Nonostante la mancanza di un accordo concreto, il summit di Anchorage ha prodotto immediate e significative conseguenze geopolitiche. Per la Russia, l’incontro è stato ampiamente interpretato come un successo. Vladimir Putin ha ottenuto una legittimazione sul palcoscenico mondiale, rompendo l’isolamento diplomatico senza dover fare concessioni sostanziali sul campo. Il vertice ha permesso a Mosca di guadagnare tempo prezioso per consolidare le proprie posizioni militari e ha alimentato le divisioni all’interno del blocco occidentale, in particolare tra gli Stati Uniti e i partner europei, che si sono sentiti messi ai margini del processo decisionale.
Per gli Stati Uniti e l’amministrazione Trump, il risultato è più ambiguo. Se da un lato il presidente ha potuto rivendicare di aver riaperto un canale di dialogo con il Cremlino, dimostrando il suo approccio pragmatico e orientato al “deal-making”, dall’altro il mancato raggiungimento dell’obiettivo primario di un cessate il fuoco è stato visto da molti analisti come una sconfitta. La postura di Trump ha segnalato un potenziale disallineamento dalla politica tradizionale degli Stati Uniti, meno incentrata sulle alleanze storiche e più incline a una gestione delle relazioni internazionali basata sulla politica di potenza e su accordi tra “uomini forti”.
Per l’Ucraina, il vertice ha rappresentato un momento di grande incertezza e preoccupazione. L’esclusione dai colloqui ha rafforzato il timore che il proprio destino potesse essere deciso sopra la sua testa. La reazione di Kiev è stata di cauto scetticismo, con il presidente Zelensky che ha avvertito come Putin avesse semplicemente “guadagnato tempo”. Il summit ha messo in evidenza la vulnerabilità della posizione ucraina, sempre più dipendente dalle mutevoli dinamiche delle relazioni tra le grandi potenze. Infine, l’incontro ha accelerato la transizione verso un ordine mondiale multipolare, in cui attori come India, Turchia e Brasile potrebbero guadagnare rilevanza strategica nel nuovo contesto di ridefinizione delle alleanze economiche e delle rotte commerciali.

Cosa aspettarci nei prossimi giorni
Nell’immediato futuro, l’attenzione si concentrerà sugli sforzi diplomatici successivi al vertice. Donald Trump ha dichiarato che avrebbe immediatamente informato sia la NATO che il presidente Zelensky sull’esito dei colloqui, un passo cruciale per rassicurare gli alleati e mantenere un fronte comune.
La palla, secondo la narrazione della Casa Bianca, è ora nel campo ucraino: Trump ha esplicitamente affermato che spetta a Zelensky “fare un accordo”, lasciando intendere che le basi per un’intesa siano state gettate e che ora Kiev debba mostrare flessibilità. Questo pone un’enorme pressione sul governo ucraino, che dovrà bilanciare le aspettative americane con le proprie irrinunciabili esigenze di sovranità e sicurezza.
È molto probabile che si intensifichino i contatti per organizzare un secondo incontro. Trump ha sempre considerato il summit in Alaska come preparatorio, e l’invito di Putin a Mosca suggerisce la volontà di entrambe le parti di proseguire il dialogo. La possibilità di un vertice trilaterale che includa anche Zelensky rimane sul tavolo, sebbene la sua realizzazione dipenda da complesse negoziazioni preliminari. Qualora Zelensky non intenda riconoscere i passi in avanti effettuati in Alaska e allinearsi alla politica di Trump, la sua sopravvivenza politica potrebbe essere a rischio anche perché la sua popolarità in Ucraina è ai minimi storici.
Le prossime settimane potrebbero vedere un’intensificazione dei bombardamenti russi in Ucraina, una tattica che Mosca potrebbe utilizzare per negoziare da una posizione di maggiore forza. Nel frattempo, gli Stati Uniti potrebbero sospendere l’imposizione di nuove “gravi conseguenze” economiche contro la Russia, in attesa di sviluppi concreti. L’Europa, dal canto suo, cercherà di riaffermare il proprio ruolo, insistendo sul fatto che qualsiasi soluzione duratura non potrà prescindere dal pieno coinvolgimento e consenso di Kiev e dei suoi partner europei.

Conclusioni e Raccomandazioni
Il vertice speciale tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska si chiude con un bilancio complesso e ambivalente. Sebbene l’incontro non abbia prodotto l’agognato cessate il fuoco in Ucraina, ha innegabilmente segnato la ripresa di un dialogo diretto tra le due maggiori potenze nucleari, un evento di per sé significativo dopo anni di ostilità. Tuttavia, il summit ha lasciato più domande che risposte, evidenziando le profonde divergenze strategiche che ancora ostacolano una risoluzione pacifica del conflitto.
Da un lato, ha rappresentato un successo tattico per Vladimir Putin, che ha ottenuto legittimità internazionale senza fare concessioni tangibili. Dall’altro, ha messo in mostra l’approccio personalistico e transazionale di Donald Trump alla diplomazia, che, pur aprendo canali di comunicazione, rischia di indebolire le alleanze tradizionali e di trattare la sovranità di nazioni terze come merce di scambio.
L’assenza dell’Ucraina e dell’Europa al tavolo negoziale rimane il punto più critico e problematico. Qualsiasi pace imposta dall’alto, che non tenga conto delle legittime aspirazioni e delle esigenze di sicurezza del popolo ucraino, è destinata a essere fragile e ingiusta. Pertanto, la raccomandazione principale è quella di includere pienamente Kiev in ogni fase del processo negoziale futuro.
È forse necessario che gli Stati Uniti e i loro alleati europei mantengano una posizione unita e coerente, continuando a sostenere l’Ucraina e a esercitare pressione sulla Russia, affinché qualsiasi accordo non si traduca in una ricompensa per l’aggressione. La diplomazia è tornata protagonista, ma la strada per una pace giusta e duratura in Ucraina è ancora lunga e irta di ostacoli. Sarà necessario un impegno strategico, paziente e multilaterale per trasformare il disgelo di Anchorage in un’autentica opportunità di pace.