24-06-25 Dal mondo
24 Giugno 2025 2025-06-24 8:1824-06-25 Dal mondo
Geopolitica
—Cessate il fuoco tra Israele e Iran: l’annuncio di Trump
—Operazione Midnight Hammer, l’attacco Usa che cambia il Medio Oriente. L’analisi di Caruso
—Midnight Hammer: anatomia dell’attacco USA all’Iran
—Cosa resta del nucleare iraniano dopo l’operazione Midnight Hammer
—Quanto peserà l’opinione pubblica sul conflitto in Medio Oriente. Scrive il gen. Jean
—Iran. Arrestate spie ucraine che sabotavano i droni per Israele
—Il triangolo libico-sudanese: nuova retrovia di guerra e instabilità regionale
–🇬🇧Iran Just Carried Out a Missile Attack on Al Udeid Air Base
–🇬🇧Iran Can Hit Gulf Energy Assets Hard, But Will They?
–🇬🇧American Submarines Fired Tomahawk Missiles at Iran This Weekend
–🇬🇧How Will Russia Respond to the Israel–Iran War?
–🇬🇧The EU’s pathetic response to Trump’s Iran attack
Geoeconomia
—Chi perde e chi guadagna se l’Iran blocca lo stretto di Hormuz
—La chiusura di Hormuz preoccupa gli armatori italiani: “Per lo shipping sarebbe dirompente”
—Italia e Germania vogliono riportare l’oro in patria
—Russia. Putin respinge lo spettro della recessione, ma il sistema scricchiola
–🇬🇧The Nuclear Renaissance Comes to the World Bank
–🇬🇧Fincantieri’s U212 NFS: export opportunities from Poland to the broader global market
Difesa
–🇬🇧The Meaning of Drone-Enabled Infantry Striking Beyond Line of Sight
–🇬🇧Putting the Defense Industry Through Wargames
–🇬🇧Video: Exclusive tour of SIMA Peru shipyard
–🇬🇧Pentagon Announces New Flag Nominees Including Commanders of 5th, 7th Fleets
Sintesi Geopolitica e Geoeconomica (focus su quanto accaduto il 23 giugno)
La giornata del 24 giugno 2025 si apre su uno scacchiere globale infiammato, il cui epicentro è la drammatica escalation militare nel Golfo Persico. Il confronto diretto tra Iran, Israele e Stati Uniti, dopo settimane di tensioni crescenti, ha raggiunto un punto di non ritorno. L’operazione israeliana “Rising Lion” ha segnato un cambio di paradigma, colpendo non solo siti nucleari ma anche infrastrutture energetiche strategiche iraniane, come il giacimento di South Pars.
Questo attacco, unito a un massiccio bombardamento americano contro i principali impianti di arricchimento dell’uranio, ha provocato la decisa reazione di Teheran, che ha lanciato missili contro la base statunitense di Al Udeid in Qatar. Questo scambio di colpi, sebbene apparentemente contenuto da un fragile cessate il fuoco annunciato dal Presidente Trump, ha innescato una crisi geostrategica, geoeconomica e marittima di portata globale, le cui onde d’urto si propagano in tutti i principali teatri operativi.
Evento clou della giornata
Al termine di una giornata di altissima tensione, segnata da pesanti raid israeliani su Teheran e da una calcolata risposta missilistica iraniana, un inaspettato “colpo di fulmine” ha riaperto la via della diplomazia. Come riportato da Andrea Muratore su InsideOver, il Presidente Donald Trump ha annunciato tramite la sua piattaforma Truth Social il raggiungimento di un accordo per un cessate il fuoco tra Israele e Iran. L’intesa, che pone fine a quella che Trump ha definito la “guerra dei dodici giorni”, è entrata in vigore in vigore a mezzanotte, ora di Washington (06.00 ora di Roma).
Questa mossa rappresenta un radicale “testacoda” per il Presidente. Con un tono conciliante, ha elogiato Israele e Iran per “il coraggio e l’intelligenza”, in netto contrasto con la postura bellicosa dei giorni precedenti e con l’attacco americano da lui ordinato contro i siti nucleari iraniani. La decisione contraddice anche la sua ferma promessa elettorale di non intervenire in nuovi conflitti all’estero. Sebbene la guerra sembrasse aver annullato ogni speranza di un accordo negoziale, questa svolta suggerisce la volontà di Washington di evitare un’escalation incontrollata, come sottolineato da Trump stesso. Pur essendo uno sviluppo positivo e inatteso, la sua tenuta resta incerta e da monitorare attentamente.
Geo-strategia, conflittualità e geopolitica
Mediterraneo Allargato. Questo teatro è l’epicentro della crisi. Il conflitto diretto tra Israele e Iran, con il coinvolgimento attivo degli Stati Uniti, ha trasformato l’intero arco di instabilità – dal Levante al Golfo Persico, passando per il Mar Rosso – in una potenziale zona di guerra allargata. La postura aggressiva di Israele e la rappresaglia iraniana, pur mirata, hanno dimostrato che la deterrenza convenzionale ha fallito.
L’analisi di Hussein Agha e Robert Malley su Foreign Affairs mette in guardia dal “trionfalismo” occidentale: la vittoria militare apparente potrebbe generare una contro-reazione asimmetrica e terroristica, rendendo l’intera regione – inclusa l’Europa meridionale e il Nord Africa – ancora più insicura.
La Russia, pur condannando gli attacchi, tenta di posizionarsi come mediatore nel Mar Nero e nel Caucaso, cercando di capitalizzare la crisi per rafforzare la propria influenza a scapito di un’Europa divisa e di un’America percepita come sempre più unilaterale. La Turchia, nel frattempo, osserva con preoccupazione, pronta a cogliere opportunità per espandere il proprio ruolo regionale.
Heartland euro-asiatico. La crisi mediorientale si riverbera direttamente sull’Heartland, rafforzando l’asse strategico tra Russia, Iran e Cina. L’incontro tra il ministro degli Esteri iraniano e il presidente Putin a Mosca non è stato solo un atto di solidarietà, ma la riaffermazione di un fronte comune contro quello che percepiscono come un accerchiamento occidentale.
Per la Russia, la destabilizzazione del Medio Oriente distoglie l’attenzione e le risorse occidentali dal fronte ucraino, offrendo a Mosca un vantaggio tattico. Per la Cina, la crisi mette a rischio la sicurezza delle sue rotte energetiche dal Golfo, ma al contempo evidenzia i limiti del potere americano e accelera la deriva di molti Paesi, non solo in Asia Centrale ma anche nel Sud-est asiatico, verso l’orbita di Pechino. L’instabilità in Afghanistan e Pakistan potrebbe essere ulteriormente sfruttata da questi attori per proiettare influenza e destabilizzare gli interessi occidentali.
Teatro operativo Boreale-Artico. Anche questo scacchiere, apparentemente distante, è influenzato dalla crisi. Il riallineamento strategico americano verso la “prioritizzazione” della minaccia cinese, come analizzato da Jennifer Lind e Daryl G. Press su Foreign Affairs, implica un potenziale disimpegno dall’Europa e dall’Artico.
La Russia potrebbe approfittare di questo vuoto per aumentare la propria presenza militare e il controllo sulle rotte artiche, che diventano sempre più navigabili. Per gli Stati Uniti e il Canada, la difesa del fianco settentrionale diventa più complessa, richiedendo un maggiore investimento in sistemi di sorveglianza e deterrenza in un momento in cui le risorse sono destinate altrove. La crisi globale spinge le potenze artiche a riconsiderare le proprie posture di sicurezza.
Indopacifico. È questo il teatro che, secondo la nuova dottrina strategica americana, dovrebbe ricevere la massima attenzione. Tuttavia, la crisi in Medio Oriente dimostra quanto sia difficile per Washington disimpegnarsi completamente da altre aree. Anzi, l’unilateralismo mostrato nel Golfo sta avendo effetti controproducenti nell’Indopacifico. Come evidenziato da Yuen Foong Khong e Joseph Chinyong Liow su Foreign Affairs, i Paesi del Sud-est asiatico, pur diffidando della Cina, percepiscono gli Stati Uniti come un partner sempre più inaffidabile e imprevedibile. La regione sta lentamente ma inesorabilmente “scivolando verso la Cina”. La nomina di nuovi comandanti per la 5ª e la 7ª Flotta della US Navy, riportata da USNI News, segnala la volontà di Washington di gestire simultaneamente entrambe le crisi, ma la credibilità politica ed economica americana nella regione è in calo, lasciando ampi spazi di manovra a Pechino.
Teatro operativo Australe-Antartico. Le nazioni di questo teatro osservano la crisi globale con crescente preoccupazione. L’America Latina, l’Africa meridionale e l’Australia sono profondamente integrate nelle catene globali del valore e dipendono dalla stabilità delle rotte marittime. Un’escalation nel Golfo Persico e un’intensificata competizione USA-Cina aumentano la loro vulnerabilità economica. Questi Paesi sono sempre più corteggiati sia da Washington che da Pechino, e sono costretti a navigare in un ambiente internazionale polarizzato, cercando di mantenere una difficile neutralità per proteggere i propri interessi. L’instabilità globale potrebbe inoltre rinvigorire le dispute territoriali e le ambizioni strategiche anche in aree remote come l’Antartide.
Geo-economia, industria, mercati e marittimità
La crisi ha avuto un impatto immediato e violento sui mercati globali. L’attacco israeliano a South Pars e la minaccia iraniana di chiudere lo Stretto di Hormuz – un choke point cruciale per il 21% del GNL mondiale e milioni di barili di petrolio al giorno – hanno trasformato l’energia in un’arma. La volatilità sui mercati del greggio è stata estrema, come riportato da Reuters: un iniziale picco dei prezzi, seguito da un crollo non appena si è capito che la rappresaglia iraniana non avrebbe, per il momento, interrotto il traffico marittimo.
Tuttavia, i costi assicurativi per le navi in transito nel Golfo Persico sono raddoppiati, un onere che si scaricherà sui consumatori finali. Questa “tassa sul rischio” permanente sta spingendo l’industria marittima a riconsiderare rotte e investimenti. Sul fronte industriale, la crisi sta accelerando l’innovazione e la produzione nel settore della difesa. Cantieri navali come Fincantieri e SIMA Peru vedono nuove opportunità per sistemi avanzati come i sottomarini.
Contemporaneamente, la World Bank ha annunciato una svolta storica, riprendendo a finanziare il nucleare civile, inclusi i reattori SMR, riconoscendo la necessità di garantire la sicurezza energetica in un mondo sempre più instabile.
Conclusioni e possibili sviluppi
Il 24 giugno 2025 si chiude su un mondo al bivio, dove la logica della forza sembra prevalere su quella della diplomazia. L’attacco coordinato contro l’Iran ha dimostrato la formidabile potenza militare occidentale, ma, come avvertono Agha e Malley, ha anche piantato i semi di una futura instabilità, potenzialmente più radicale e diffusa. La vera novità strategica è l’esplicita adozione da parte degli Stati Uniti di una dottrina di “prioritizzazione” che, nel tentativo di concentrarsi sulla Cina, rischia di creare vuoti di potere e di alienare alleati storici, accelerando la frammentazione dell’ordine globale.
Nei prossimi giorni, l’attenzione sarà focalizzata su tre fronti principali.
Primo, la risposta iraniana a lungo termine: al di là della rappresaglia immediata, Teheran potrebbe attivare la sua rete di proxy o ricorrere ad attacchi informatici e terroristici, come ipotizzato da Dana Stroul. La stabilità del cessate il fuoco annunciato da Trump è estremamente precaria.
Secondo, la reazione degli alleati americani: i Paesi europei e asiatici dovranno decidere come rispondere al disimpegno di Washington. Assisteremo a un’accelerazione verso un’autonomia strategica reale o a una frammentazione ancora maggiore?
Terzo, le mosse della Cina: Pechino cercherà di capitalizzare la crisi per consolidare la sua influenza economica e diplomatica, specialmente nel Sud-est asiatico e in Medio Oriente, presentandosi come un’alternativa più stabile e prevedibile rispetto a un’America percepita come erratica. La crisi del Golfo, in definitiva, non è un evento isolato, ma il sintomo di una profonda riconfigurazione del potere mondiale, il cui esito è ancora tutto da scrivere.

